Per quello che mi date faccio quello che mi dite, le idee si pagano a parte...




mercoledì 19 febbraio 2014

La forza della materia




Organizzare gli spazi interni di una casa rappresenta la parte più facile del compito di un progettista. L'esperienza abbinata alla capacità intrinseca di saper proporzionare superfici e volumi consentono al designer di sbrigare la cosa con sforzo minimo...
Al contrario la scelta di materiali e finiture comporta ben altro impegno. Il mercato offre oramai infinite possibilità e combinazioni che portano qualche volta l'architetto ad affidarsi a "progettazioni commerciali", ovvero eseguite dallo staff tecnico presente all'interno dei più grandi rivenditori. 
Occorre stare molto attenti, perché a fronte di un risultato pur pregevole, il rischio concreto è quello di fare il gioco dei rivenditori abilissimi ad indirizzare il progettista verso le proprie scelte illudendolo del contrario.
Uno dei segreti per sfuggire a questa logica può essere quello di progettare la materia ovvero di plasmare superfici e volumi con materiali monolitici (resine, malte cementizie) che garantiscono l'unicità del risultato; infatti a parità di materiale utilizzato nessun lavoro sarà simile agli altri. Oppure di operare scelte non convenzionali: occorre utilizzare per forza il grès porcellanato nei bagni? E il rivestimento ceramico in cucina? La risposta chiaramente è no! Le immagini di sopra ne sono un chiaro esempio.

venerdì 9 novembre 2012

"L'ORA DELL'ORO" Progetto grafico in Tandem


L'ORA DELL'ORO
L'idea, nasce dalla collaborazione di Luca Ciotola con l'architetto e designer partenopeo Checco Portoghese "Alias Coccoilcreativo" e nasce proprio a Napoli...., la città dove tutto è possibile.

Un giorno, in un bar.....durante una calda giornata estiva, mentre sorseggiavamo il nostro caffè...nella nostra Napoli l'idea. Napoli, la città dal sorriso amaro, dove se vuoi riesci a trovare un ristorante aperto anche alle due del mattino, dove riesci a sorprenderti sempre per qualcosa di nuovo e diverso nell'apparente immutabilità delle cose. Napoli, la città dai mille strati sovrapposti, ma uguale sempre a se stessa, alla sua filosofia di vita.Napoli la città delle pause, dei riti che sopravvivono al tempo, ricercati, rivissuti sempre con la stessa sacralità e inviolabilità. Riti come quello del caffè che domina incontri frugali e riunioni di lavoro, che battezza nuove conoscenze, che rompe il ghiaccio in appuntamenti formali. Rito che si ripete ad ogni ora del giorno, fatto per le abitudini di tutti: per chi non si sveglia se non prende il caffè, chi comincia la sua giornata solo dopo una gustosa tazzina di caffè, per chi deve ricominciare dopo una pausa pranzo troppo breve o troppo pesante, per chi vuole interrompere per qualche istante l'incessante ritmo di lavoro d'ufficio.Il caffè pagato ad amici e colleghi per festeggiare il proprio compleanno o onomastico, oppure ordinato in cantiere per ingraziarsi gli operai ed addolcirne la naturale diffidenza. Il caffè offerto in segno di rispetto, per amicizia o per affetto, come gesto di galanteria. Il caffè pagato, antico rituale per manifestare al mondo il proprio buon umore. 
E' da qui che parte la nostra idea. Ed è per questo che il filo conduttore è proprio .... UN FILO:
 "il filo dei panni" ancora oggi utilizzato dal popolo per asciugare il bucato, fissato tra due edifici a formare una sorta di cappello ai vicoli stretti e lunghi dei quartieri più vecchi e popolari.Un filo che viene direttamente dal passato e che porta con se mille anni di abitudini, storie, tradizioni, vicende...un filo che resiste ai tempi e che ancora carica su di se senza alcun pudore magliette, pantaloni e mutande; un filo che accoglie un piccione che stanco si posa per riposarsi e comincia a tubare (o se si preferisce a twittare) per poi riprendere a volare tra vicoli e strade.Un filo che raccoglie e trasmette odori da sempre uguali a se stessi, aiutato del vento che si incanala leggero tra i vicoli stretti come budelli e che trasporta indistintamente per centinaia di metri il profumo del bucato appena steso, quello del ragù della domenica, delle fritture di paranza, dei friarielli ripassati in padella, dei peperoni appena arrostiti. Un filo che accompagna l'inconfondibile profumo del caffè che dà il risveglio al mattino, oppure rinvigorisce dal lento sonnecchiare del pomeriggio o che alla sera si gusta per "addolcire la bocca" prima di dormire.
Il caffè come un'arte immutata e immutabile nel tempo, un'icona che si incastona in un ideale quadro della città, insieme al mare, al sole, alla vista del golfo...Un simbolo VERO di Napoli al di fuori dei luoghi comuni, che tutti cercano e vogliono provare quando si trovano in città e dal quale rimangono inebriati ed estasiati provando a catturare e portare con se quella fragranza e quell'odore che però si perdono magicamente non appena ci si allontana da qui...(Si dice per merito dell'acqua o della tecnica di preparazione, ma è più realistico dare merito alle atmosfere e alle magiche ritualità che accompagnate alle migliori miscele rendono questa bevanda a Napoli la migliore del mondo!)

"Una tazzina che racchiude il passato e rilegge il presente per proiettarsi verso il futuro prossimo è l'idea che abbiamo cercato di tramutare in piacevole concretezza."

Una tazzina quindi che raccoglie in se un enorme e importante passato ma che vuole reinterpretare il concetto di socialità oggi ingabbiato dentro i freddi ingranaggi di Twitter e Facebook, Social Network che rubano l'incontro intimo, personale, fatto di strette di mano, che cancellano il profumo e aroma, lo zucchero che scende lentamente nella tazzina, il rapporto di simpatia col barista di fiducia.
Ed è per questo che nel "nostro rito", quello che vediamo e vorremmo noi, il piccione si posa sul filo dei panni per qualche istante e smette di "cinguettare" (o twittare) lasciando spazio all'incontro ravvicinato, magari appoggiati al bancone del bar o comodamente seduti ad un tavolino preparandosi a sorseggiare il caffè. E prima di farlo, mentre si porta la tazzina alla bocca, ci si lascia inebriare dall'aroma che risale  e guardando l'interno della tazza si intravede il simbolo "mi piace" (o I like it) - oggi molto usato per mostrare sinteticamente gradimento per qualcosa - che non si può che condividere approvando mentalmente tale sublime gesto, un attimo prima del primo sorso.   

"L'ORO di Napoli è un insieme di simboli, gesti, abitudini, riti che sopravvivono al tempo e che oggi più che mai rappresentano un patrimonio da salvaguardare e rivalutare."

Ci piace pensare che questo lavoro possa essere un piccolo contributo per dar vigore ed esaltare uno dei riti più piacevoli e sacri per il napoletano, e che questa tazzina così ridisegnata sia il miglior modo di racchiudere in pochi sorsi un patrimonio di Napoli nel mondo.
Che i luoghi comuni della nostra città diventino VERI messaggi e piacevoli scoperte per chi spesso giudica frettolosamente ciò che non può conoscere, per chi non sa che questo è un rito che porta dentro storia e tradizione e che vuole religioso rispetto e seria gratificazione.

Luca Ciotola Novembre 2012

venerdì 25 maggio 2012

Sicurezza?! No grazie...

Il tema della Sicurezza nei luoghi di lavoro e nei cantieri temporanei è certamente tra i più attuali dell'ultimo ventennio. Si partì a metà degli anni '90 con i (leggendari) Decreti Legislativi 494/96 e 626/94 che hanno rappresentato un fondamentale spartiacque col passato introducendo nozioni e stabilendo regole sino ad allora praticamente estranee al mondo del lavoro.
Ma la svolta fondamentale per noi professionisti fu l'introduzione dell'obbligo di nomina di un Responsabile e/o Coordinatore per la Sicurezza per i cantieri temporanei. In realtà l'obbligo non vale proprio per tutti i cantieri: le ristrutturazioni d'interni (la classica manutenzione straordinaria di un appartamento di media grandezza per intenderci) sono di fatto (anche se non teoricamente) esonerate da tale obbligo e questa figura, spina nel fianco per le imprese e costo aggiuntivo (e non sempre accettato) del Committente non compare praticamente mai.
Per tutti gli altri cantieri invece l'obbligo scatta sempre (o quasi) e per questo, a ridosso dei famigerati decreti sopra richiamati, all'epoca di entrata in vigore dei decreti prolificarono i corsi (da 120 ore) aperti ai professionisti per abilitarsi a svolgere tale incarico.
Naturalmente in moltissimi - e tra questi anche io - "corsero" ad abilitarsi ascoltando per un lunghissimo numero di lezioni magistrati, avvocati, ingegneri, tecnici e ispettori dei vigili del fuoco che si impegnavano onorevolmente nell'intento di trasmetterci le nozioni e le nuove regole dettate dai decreti (sempre i famosi di cui sopra) ma soprattutto per fissare nelle nostre menti il nuovo status che il cantiere avrebbe dovuto assumere, ovvero regno di puntualità e intransigenza, di ordine e di rispetto delle regole.
Insomma via il cappellino di carta di giornale tanto caro ai pittori e le vecchie scarpe da ginnastica usate dagli operai; via il bicchierozzo di vino dopo pranzo, via l'abbigliamento dismesso che le mogli riciclavano come abiti di lavoro. Tutto ciò avrebbe fatto posto ai famosi D.P.I. (elmetti a norma, tute da lavoro, scarpe da lavoro, cinture di sicurezza, guanti e occhialini) che l'azienda è obbligata a fornire (e a far usare!) ai propri dipendenti. E soprattutto doveva scomparire tutto ciò che era stato l'ambiente cantiere sino ad allora, partendo dagli anni del dopoguerra dove si reclutava personale la mattina fuori dai cancelli scegliendo tra chi aveva più figli (e più fame!) o degli anni '60 e '70, quelli del boom edilizio dove nelle città prolificavano palazzi come fossero funghi e vigevano le regole del fare "presto e subito", o degli anni '80 con l'espandersi delle periferie e con calamità naturali (vedi terremoto dell'Irpinia del 1980) che furono colte come occasione di business da parte di tante imprese improvvisate.
Insomma tutto questo era di colpo cancellato dai decreti (sempre quelli) che provavano a rispondere tout court ai troppi incidenti, infortuni e anche decessi che si succedevano in maniera impressionante nei cantieri.
Alla fine del corso ebbi la netta sensazione che attraverso la creazione di questa figura le istituzioni di fatto intendevano passare la "patata bollente" a noi tecnici: come a dire "noi la legge l'abbiamo fatta, ora tocca a voi farla rispettare"...E col senno di poi credo di non essermi sbagliato affatto!
Sicuro di non essere smentito e volendo naturalmente generalizzare posso dire che ancora oggi, dopo anni di frequentazione dei cantieri, la mentalità retrograda della classe operaia è ancora tenacemente impregnata in tali ambienti, nonostante l'informazione (scarsa) e la formazione (obbligatoria) che le imprese si impegnano a garantire ai propri dipendenti. E nonostante figure come il Responsabile per la Sicurezza si facciano in quattro per garantire il rispetto delle regole. Insomma nonostante tutto questo lavoro, gli aggiornamenti normativi (su tutti il Testo Unico per la Sicurezza D.lgs. 81/08) nonostante il tanto tempo passato, oggi in cantiere vige ancora la regola del "mò-mmò" ovvero ciò che risponde l'operaio sorpreso ora senza il casco, ora senza i guanti per comunicarti che "...Me lo sono appena tolto, ma sta qui vicino a me!". Frase a cui mi viene sempre di rispondere (e qualche volta confesso di averlo fatto rilevando un'espressione compiaciuta di chi mi era di fronte): "Bravo conservali i guanti, non li indossare che si potrebbero rovinare!".
Infine vi lascio con un aneddoto (vero) che racconta più di ogni parola ciò che qualche volta può essere un cantiere oggi:
Lavori in facciata di un fabbricato, ponteggio montato. Controllo dei vigili che ordinano al geometra di far scendere tutti gli operai dal ponteggio. Domande di rito: "Perché non indossi il casco?", "Dove sono i guanti", "Da quanto tempo lavori per questa ditta?" con solite espressioni svagate e insieme imbarazzate degli operai. All'improvviso ci raggiunge un operaio che aveva ritardato a scendere ed il pubblico ufficiale già irritato dalla situazione comincia a inveire contro il malcapitato chiedendo ancora una volta perché non indossasse il casco...perché, perché? Il tizio spaventato guarda prima il geometra e poi il vigile e afferma: "Ma io stamattina al lavoro sono venuto con l'autobus!"

martedì 15 maggio 2012

Ore 9,30 di un mattino qualunque.
Arrivo in cantiere (orario di "signore", orario di "architetto".....), gli operai sono già al lavoro da un paio d'ore.
Ci sono facce nuove, operai diversi. Buongiorno.
Buongiorno. Prego!
Sono l'architetto...
Ma chi? Voi? Ah....Ma siete architetto laureato...?! Così giovane..? (In effetti me li porto bene i miei 37 anni).
Si...non mi risulta ci siano altri tipi di architetto. Comunque....
Comunque geometra, vi volevo dire...
Sono architetto, ma fa niente, se preferite...
Ah, no. Scusate. Comunque vi ho chiamato "geometra"...che è pure più importante!
Si, certo. Ma veniamo a noi, che state facendo stamattina?!
....
..

Questo è un siparietto "classico" che si consuma nei miei cantieri almeno due o tre volte all'anno...

E si perché nonostante gli anni '60, '70 e '80 - quelli del boom edilizio e del superdominio dei geometri d'impresa - siano passati da un pezzo,
nonostante il fatto che oggi in Italia ci siano più architetti (e ingegneri) che automobili,
nonostante tutto ciò, nella forma mentis della classe operaia edile - e spesso anche della committenza - il "dominio" della figura del geometra è sempre evidente, al punto da porlo in cima alla scala gerarchica dei tecnici edili.
Per questo motivo, essere chiamati  "geometra" in cantiere non ha più un sapore offensivo, un gusto denigratorio, un effetto ridimensionante - come molto ingenuamente mi capitava di  provare agli esordi lavorativi - ma è quasi motivo di orgoglio, perché esprime la stima (grande) che l'operaio ha nei tuoi confronti....

E fanculo la laurea, gli anni buttati sui libri, le tasse pagate!
Il vero rispetto si guadagna sul campo in questo lavoro, ovvero in cantiere, e se l'effetto positivo è la conquista del titolo honoris causa di GEOMETRA, ben venga pure questo!

Scherzi a parte (ma neanche tanto), il problema a mio avviso è tutto qui: è una questione culturale (come dicono i soliti sapientoni...).
Si perché in un Paese come il nostro che trabocca di siti archeologici, manufatti architettonici e beni paesaggistici tutelati dall'UNESCO, i nostri (tanti) architetti dovrebbero lavorare (tutti) come pazzi ed i cari colleghi geometri (e chiedo scusa per i "colleghi"...) tornare a fare ciò per cui sono nati: catasto, rilievi topografici, pratiche amministrative, etc.

Pane al pane, vino al vino....e al bando i bigliettini da visita - come mi è capitato - con su scritto:

                               Mario Rossi
                               geometra
                            pratiche catastali e progettazione d'interni